sabato 28 maggio 2011

Semente certificata/3 Chi è causa del suo mal…

Appelli disperati alle nostre istituzioni risuonano fragorosi nel Mondo Agricolo.
Sono le aziende sementiere, che improvvisamente catapultate sul libero mercato agricolo, dopo anni di comodo monopolio imposto agli agricoltori, si trovano a fare i conti con la dura realtà del commercio. Ecco i freddi numeri: negli ultimi due anni l’impiego del seme certificato in Italia per il grano duro si è ridotto del 50%, per il tenero del 28%, per l’orzo del 42%. In Sicilia addirittura, il grano duro certificato ha subito una riduzione dell’80%!
Cosa ha generato tale risultato? A giudizio di Paolo Marchesini, presidente di Assosementi, si tratterebbe di un incomprensibile connubio determinato dalla arretratezza degli agricoltori e dalla insensibilità delle Istituzioni.
I primi, accusati: di non comprendere che le varietà certificate sono di elevatissima qualità, di essere troppo  oculati nell’affrontare i maggiori costi derivanti dall’utilizzo della semente certificata, e di non capire che l’obbligo di utilizzo del seme certificato, avvenuto per circa 15 anni, non era un imposizione ma un filantropico sostegno per l'agricoltore.
Le seconde invece imputate di scarsa sensibilità verso l’innovazione e la ricerca, e di non collaborare a sufficienza alle prove di valutazione per la messa in commercio delle nuove varietà.
Insomma come al solito la colpa è sempre degli altri che non capiscono quanto è valido il prodotto certificato. "I sementieri" - infatti tuona Marchesini - hanno l’obiettivo di continuare  a produrre sementi di elevata qualità e di garantire il miglioramento delle varietà, ma devono essere messi nelle condizioni di poterlo fare”.
Ecco il punto, Presidente Marchesini, voi avete perseguito un obiettivo, negli ultimi 15 anni, purtroppo mai raggiunto. Ovvero, il miglioramento varietale, nel suddetto lasso di tempo, si è cullato sulla rendita dei diritti delle vecchie varietà costituite, nella falsa sicurezza che il povero agricoltore sarebbe sempre stato costretto a calare la testa ed a comprare il seme cartellinato, senza generare varietà sensibilmente migliorate (salvo pochissime per alcuni areali) per cui valesse la pena investire. 
Purtroppo, il giocattolo si è rotto per voi. 
Il mio consiglio spassionato è di tornare a lavorare seriamente, se è ancora possibile farlo, e di mettere a disposizione dell’agricoltore, non dell’agro-industria, varietà  veramente innovative ed in grado di venire incontro alle sue necessità.
Queste, a mio giudizio, sono le uniche condizioni sulle quali dovreste contare, invece di continuare a ricercare la pietosa benevolenza della classe politica.




Piccola Cronistoria per i non addetti ai lavori

Come nasce l'imposizione di utilizzare la semente certificata per il grano duro?
Con il decreto (poi convertito in Legge) del 17 Dicembre 1990 del Ministero dell’Agricoltura e la circolare del 29 Ottobre 1993 n.D. 288, si stabilì che a partire dal 1995 si potesse accedere all’aiuto supplementare per le aree vocate alla produzione di frumento duro, soltanto impiegando il 100% di seme certificato.

Il prof. Lorenzetti, nel 2000 su Sementi elette n.2, affermerà che tale legge nacque ... "in seguito alle pressioni delle lobby produttori sementieri". 


La politica dell'imposizione, dal 1995 al 2009, ha favorito la costituzione e la diffusione di nuovi varietà di grano duro?
Nella Tabella 1, si può osservare come la varietà ad oggi più diffusa (Simeto) risalga al 1988,  la seconda al 1996, la terza al 1998, la quarta (Saragolla) unico successo commerciale moderno al 2005, la quinta addirittura al 1984, e così via etc.
E' evidente che, stante i tempi tecnici necessari per la costituzione delle varietà (circa 10 anni) soltanto il Saragolla, unica tra le prime cinque (con il 5.7% del totale) può considerarsi frutto di tale politica agricola. Un pò poco rispetto alle promesse ed a quanto estorto agli agricoltori in questi anni.


Tutti le date di costituzione sono estratte da "Evoluzione varietale e qualità in frumento duro" un progetto dell'Università di Cagliari del Prof. Deidda.  

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